Cerimonia
SANTI NEREO E ACHILLEO
Tutte le strade portano a Roma, dice un proverbio, e da Roma partono alcune delle più celebri vie del mondo. Su due di esse, verso sud-est e ovest, l’Ardeatina e l’Aurelia, ricevettero degna sepoltura i santi martiri Nereo ed Achilleo, nonché Pancrazio.
Nonostante siano ricordati tutti e tre al 12 maggio, il loro culto è sempre stato separato e le loro memorie liturgiche vengono celebrate separatamente con formulari propri secondo l’antica tradizione romana. Il documento più antico sui santi Nereo ed Achilleo, martiri romani, è l’epigrafe scritta in loro onore da papa San Damaso nel IV secolo.
La testimonianza di numerosi pellegrini ne ha tramandato il contenuto prima che essa venisse distrutta. L’archeologo Giovanni Battista De Rossi nel XIX secolo ne ha rimesso insieme i frammenti: “I martiri Nereo e Achilleo si erano arruolati nell’esercito ed eseguivano gli ordini di un tiranno, ed erano sempre pronti, sotto la pressione della paura, ad obbedire alla sua volontà. O miracolo di fede!
Improvvisamente cessò la loro furia, si convertirono, fuggirono dal campo del tiranno malvagio, gettarono via gli scudi, l’armatura e i giavellotti lordi di sangue. Confessando la fede di Cristo gioirono nell’unire la loro testimonianza al suo trionfo. Impariamo dalle parole di Damaso quali cose grandi opera la gloria di Cristo”.
Pare dunque certo che fossero pretoriani e che, più o meno improvvisamente, abbiano deciso di convertirsi al cristianesimo, pagando con il loro sangue la loro fede. La chiesa sorse a poca distanza dalle Terme di Caracalla presso l’antichissimo “titulus fasciolae” dove veniva conservata la benda (fasciola) con cui san Pietro si era avvolto un piede durante la fuga verso l’Appia, poco prima dell’incontro con Cristo che lo convinse a tornare indietro e ad affrontare il martirio.
La chiesa venne interamente ricostruita nel 814 per volontà di papa Leone III. Nonostante sia di remota fondazione essa si presenta oggi nelle forme impressele dai rifacimenti effettuati in occasione dei giubilei del 1485 e del 1600 quando fu fatta restaurare e decorare nel 1597 con splendidi affreschi dal cardinale Baronio, famoso studioso oratoriano del XVI secolo.
Nel 1874 il De Rossi scoprì le loro tombe vuote ed una scultura contemporanea in una chiesa sotterranea fatta edificare da papa Silicio nel 390. Il loro sepolcro consisteva in una tomba di famiglia, situata nel cosiddetto cimitero di Domitilla, come sarà denominato più tardi. Intorno al Seicento San Gregorio Magno pronunciò una solenne omelia a loro dedicata: “Questi santi, davanti ai quali siamo radunati, odiarono il mondo e lo calpestarono sotto i propri piedi quando la pace, le ricchezze e la salute esercitavano il loro fascino”.
L'interno, riccamente affrescato, si compone di tre navate scandite da pilastri quattrocenteschi a sezione ottagonale con copertura a capriate in vista. L’altare e la cattedra episcopale sono ornati da raffinati mosaici cosmateschi. Sulle pareti si possono ammirare gli affreschi attribuiti a Niccolò Circignani detto il Pomarancio raffiguranti "Storie di Martiri", di crudo realismo.